lunedì 28 dicembre 2009

Errori da evitare per la formazione aziendale

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Nel corso della mia attività ho visto raramente aziende che non erano consapevoli dell’importanza della formazione. Ho invece visto, molto spesso, aziende che facevano una cattiva formazione. Analizziamo il caso di un’azienda che faceva una cattiva formazione credendo di poter affrontare l’argomento con interventi spot di un consulente.

La società I.PRO.VE.S Srl. Trasforma e commercializza prodotti vegetali surgelati destinati al mercato nazionale ed estero. Nel gruppo dei dipendenti ci sono otto persone che hanno la funzione di coordinare tutta la forza vendite e di gestire i rapporti con la clientela. Non hanno mai avuto una formazione specifica. La Direzione si rende conto che il fatturato non cresce e il trend di sviluppo è nettamente inferiore alle possibilità che il mercato offre.

Si decide di mettere in atto un piano formativo per il gruppo delle otto persone, affidando l’incarico ad un consulente esterno. La decisione viene comunicata alle persone chiedendo loro di essere disponibili a recarsi presso una società esterna. A valle della proposta di formazione ricevuta dal consulente, la Direzione ritiene che la spesa è eccessiva e chiede al consulente di poter effettuare la formazione presso l’azienda stessa, anziché presso la sede della società di consulenza, risparmiando in questo modo sui costi di trasferimento e di pernottamento.

Sin qui niente di male. Il problema viene quando la direzione, per risparmiare ulteriormente, chiede al consulente di effettuare la formazione in due giornate, anziché nelle dieci che aveva previste nel corso di un mese. Il consulente ritiene di non poter dare un contributo veramente efficace in due giornate e rifiuta l’incarico.
Quali errori ha fatto la Direzione in questo processo?

Secondo me sono i seguenti:

1. L’azienda non aveva inserito nella sua strategia la formazione, come strumento di coinvolgimento e motivazione delle persone, pensando di affrontare l’argomento in maniera spot.
2. Non aveva chiaro l’importanza della formazione e aveva ritenuto prioritario il valore della spesa da affrontare.
3. Non era in grado di valutare gli effetti della mancata formazione.

L’obiettivo di contenere una spesa non è di per sé un cattivo obiettivo. L’importante è ritenere che la priorità non è il costo della formazione, bensì l’efficacia della formazione e il ritorno economico della stessa. Nel caso esaminato, se l’obiettivo della Direzione era contenere la spesa, allora era più corretto non iniziare ad affrontare l’argomento e ancor di più non comunicarlo alle persone.
Le aziende di successo hanno capito che l’attività di formazione deve essere continua. Pertanto, esse si sono organizzate per avvalersi della funzione di trainer da parte di risorse interne. Persone che le aziende hanno formato adeguatamente, e che si sono specializzate sulla formazione, pur avendo una funzione operativa.

Ad esempio:

- Una formazione sulla sicurezza viene effettuata dal responsabile interno della sicurezza.

- Una formazione sull’efficienza produttiva viene effettuata dal responsabile della produzione.

- Una formazione sulla Qualità viene effettuata dal responsabile Assicurazione Qualità.

- Una formazione sulle vendite viene effettuata dal responsabile Vendite.

Ecc..

Una formazione effettuata da risorse interne offre vantaggi notevoli, quando gli argomenti trattati richiedono una conoscenza della realtà aziendale. Viene, invece, richiesta la formazione a risorse esterne quando gli argomenti sono più delicati e non ci sono all’interno persone qualificate per trattarli.

A cura di Chiarissimo Colacci
Autore di “L’Impresa Efficiente” e “Il Team Vincente”

martedì 22 dicembre 2009

Reputazione ONLINE

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La reputazione è un concetto inconsciamente riconosciuto e apprezzato da chiunque, anche da chi non possiede un particolare background di comunicazione, marketing o PR. Fateci caso: quando un’azienda o un professionista riesce a fidelizzarvi e a costruire un rapporto di fiducia con voi delle ottime motivazioni possono essere trovate nella reputazione e nell’idea che vi siete costruiti circa quel rapporto di business.

Eppure sono ancora in pochi coloro che scelgono di incrementare questo aspetto della propria immagine, e specialmente quando si parla di reputazione online si apre un vero e proprio buco nero nella mente degli utilizzatori del web.
In Italia esiste un concetto che deve ancora passare ed essere appreso dalla maggior parte dei navigatori: su internet noi siamo ciò che pubblichiamo.

Volete un esempio? Quante volte avete letto sui giornali casi di persone licenziate per aver inserito frasi sconvenienti e inopportune a riguardo del proprio ambiente di lavoro all’interno dei social network? Internet è un’immensa memoria collettiva, e tutto ciò che vi pubblicate all’interno si riflette e diffonde nel tempo.

E per chi non utilizza il web o è certo di non inserire alcun dato che lo riguardi? Anche in questi casi esistono delle problematiche circa la propria immagine. In primo luogo il fatto di non esistere sul web sta comunicando qualcosa alle persone che vi circondano. Pensate all’opinione che potrebbe farsi un vostro intervistatore desideroso di offrirvi un’allettante offerta di carriera, oppure un potenziale cliente invogliato a trovare un nuovo fornitore. Quale giudizio può assumere su di voi se letteralmente… non esistete!

D’altra parte, i vantaggi per chi possiede le conoscenze per gestire correttamente la propria reputazione online sono moltissimi. La reputazione digitale, in particolare, può diventare un vero e proprio volano per le vendite e il business.

Farlo può essere più semplice di quanto si pensi normalmente, ma solo a patto di conoscere le giuste strategie.
Il manuale dell’ufficio stampa 2.0 vi svelerà le migliori tecniche operative per raggiungere questo importante obiettivo.

A cura di Stefano Calicchio
Autore di “L’Ufficio Stampa 2.0″

martedì 15 dicembre 2009

Persuadere per vendere??

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Persuadere vuol dire muovere gli altri nella nostra direzione, facendo si che accettino una nostra proposta o raccomandazione. Alla fine di questo processo, affinché la nostra opera di persuasione sia stata efficace, devono essere verificati due fattori fondamentali:

- Le caratteristiche iniziali della nostra proposta devono essere rimaste sostanzialmente inalterate.

- Il nostro rapporto personale con la persona “persuasa” deve essere migliorato o, nel caso peggiore, rimare inalterato.

Questi due punti devono essere tenuti sempre in mente quando cerchiamo di persuadere qualcuno.

Per quanto riguarda il primo fattore, dobbiamo partire dal presupposto di possedere una proposta, una raccomandazione o un suggerimento che, esattamente così com’è formulato, sia di valore e possa migliorare la vita della persona a cui lo stiamo proponendo. Se non ne siamo pienamente convinti, dobbiamo lavorare sulla definizione della nostra proposta, prima di iniziare il processo di persuasione.

Per quanto riguarda il secondo punto, se tramite un uso poco etico di tecniche di persuasione, riusciamo comunque a convincere l’altra persona a seguire la nostra raccomandazione (specialmente se si tratta dell’acquisto di nostro prodotto) ma appare evidente che questa scelta andava maggiormente nel nostro interesse e non nel suo, presto o tardi questa riflessione da parte della parte “persuasa” contribuirà alla creazione di sentimenti negativi nei nostri confronti. Il nostro rapporto con la persona ne uscirà deteriorato e sarà molto difficile riconquistarne la fiducia.

In conclusione, contrariamente alla credenza comune che ritiene che chi muove spesso gli altri nella propria direzione, convincendoli ad agire come da lui proposto, sia un ottimo e dotato persuasore, in realtà per attribuire questa qualifica a qualcuno dobbiamo osservare l’eventuale differenza tra quanto proposto inizialmente e quanto accettato alla fine del cliente (ove una notevole differenza potrebbe anche indicare scarsa eticità da parte del persuasore, che era partito con una proposta poco realistica per generare un effetto di contrasto) e soprattutto la qualità del rapporto personale tra le due parti, successivamente al processo di persuasione. Nel caso in cui si vogliano instaurare proficue e durature relazioni commerciali, il secondo punto è assolutamente fondamentale.
Per approfondire questi argomenti ci vediamo su ebookpersuasione

A cura di Marco Germani
Autore di “I meccanismio della persuasione”

lunedì 7 dicembre 2009

Amicizia tra uomo e donna

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Il tema è dei più intriganti, la domanda delle più ricorrenti, ma la risposta non è mai univoca.
Ci può essere amicizia fra un uomo e una donna?
Partendo dall’assunto che l’amicizia non è un generico rapporto di conoscenza che porta a condividere semplici momenti comuni (lavoro, hobby, passatempi…), bensì un rapporto che spinge a vivere momenti esclusivi, che hanno come unico scopo il piacere di incontrarsi, la risposta è: sì, ci può essere, ma non è mai davvero equilibrata, perché il sesso e l’erotismo sono sempre dietro l’angolo, anche se i protagonisti a volte non ne sono assolutamente consapevoli.

La «sindrome da Harry-ti presento-Sally» spinge infatti tantissimi uomini a desiderare un rapporto diverso, più profondo, con la propria «amica platonica». Basta ricordare la battuta in cui Harry dice a Sally: «Nessun uomo può essere amico di una donna che trova attraente. Vuole sempre portarsela a letto». E lei, scandalizzata: «Allora stai dicendo che un uomo riesce ad essere amico solo di una donna che non è attraente?». Risposta: «No, di norma vuole farsi anche quella».

Giunti a questo punto, verrebbe da pensare che l’amicizia fra sessi diversi non può esistere. In realtà non è proprio così. Bisogna però tenere presente che in molti casi – a posteriori – ci si rende conto di non essere stati ricambiati con la stessa sincerità di intenti; o viceversa di avere segretamente sperato che il proprio amico/a un giorno provasse qualcosa di più. Ecco perché è sempre così importante essere il più chiari e corretti possibili verso l’altra persona, allo scopo di evitare dolorosi fraintendimenti.

A complicare le cose contribuisce inoltre l’etimologia. La parola «amore» ha la stessa radice di «amicizia» (am-). Se provo amicizia verso qualcuno, provo una forma di amore. Si comprende bene quanto sia rara e difficile tra un uomo e una donna, dove l’elemento fisico è quasi inevitabile, nella diversità fisio-biologica della coppia. Anche perché un’amicizia nasce di certo dalla simpatia, ma anche da una prima impressione visiva che suscita in noi una reazione biochimica che somiglia all’attrazione fisica, poi da una sintonia di pensiero.

Se l’amico/a ti piange sulla spalla e nasce una abbraccio per consolare, o una carezza sul viso, o un bacio fraterno, materno, paterno…allora il contatto fisico c’è. Nasce di conseguenza la necessità di incanalare il rapporto nella direzione che esclude la fisicità di tipo sessuale, necessità che deve essere il frutto di una scelta consapevole operata da entrambe le parti.

C’è poi un altro elemento fondamentale: la differenza tra l’emotività maschile e quella femminile.
Le donne sono per DNA portate all’introspezione, all’analisi, a quel discutere e mettersi in discussione, forse senza mai arrivare a una soluzione concreta dei problemi.
Gli uomini no: di fronte alla richiesta di un consiglio, hanno la soluzione pratica, immediata o ragionata.
Ciò accade in quanto le donne coltivano un rapporto di amicizia per «stare», mentre gli uomini per «fare».

In definitiva, é dunque meglio non escludere mai a priori l’amicizia tra un uomo e una donna, perché può donare emozioni e arricchimenti umani, rivelandosi così limpida e soddisfacente da smentire nella pratica tutto quanto si è detto finora. Non dimentichiamo poi l’amico-gay: con lui, proprio perché possiede una sensibilità molto più femminile, possono nascere sodalizi emotivi e amicali grandiosi.
A patto certo che, anche qui, non ci sia di mezzo qualcosa di più, da parte nostra, che si chiama amore.

A cura di Marina Roveda
Autrice di “Le Regole dell’Amicizia”